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La cucina medioevale


La storia dell'alimentazione evidenzia elementi di continuità tra Medioevo ed età Moderna la quale migliora e in un certo senso canonizza molte modalità di preparazioni già note. Devono cadere i pregiudizi di arretratezza riguardo la cultura gastronomica dell'Età di Mezzo, la gastronomia esisteva, malgrado i richiami alla morigeratezza e le restrizioni della Chiesa, e ci sono numerose teorizzazioni di norme e pratiche che resteranno invariate per molti secoli (fra tutti ricordiamo il Taillevert , al secolo Guillaume Triel dal 1373 alla corte di Francia e Mastro Martino). Bisogna sfatare i pregiudizi che nel Medioevo fosse importante solo la quantità abnorme dei cibi sulle tavole, la loro presentazione spettacolare e non si prestasse cura alla qualità delle preparazioni.

Anche una veloce e sommaria panoramica sul modo di mangiare tra XV e XVI secolo rivela piacevoli e golosi aspetti; ovviamente stiamo considerando un livello sociale decisamente alto, per il povero il problema fondamentale non era cosa e come mangiare, ma semplicemente riuscire a farlo! I differenti regimi alimentari, spesso agli antipodi tra Fame e Abbondanza, sono un fedele specchio delle tensioni e degli squilibri che percorrevano la società del tempo.

LA CONSERVAZIONE DEI CIBI

È importante esaminare i metodi di conservazione dei cibi adottati nel Medioevo dato che profonde e significative innovazioni si avranno solo a partire dal XVIII e XIX secolo, riassumendo in modo estremo possiamo elencare i quattro "elementi" a cui si ricorreva per evitare la corruzione dei generi alimentari:

- GHIACCIO
- ARIA
- SALE
- FUMO
Ovviamente ad ognuno corrispondeva un metodo di conservazione dei cibi: - RAFFREDDAMENTO/CONGELAMENTO
- ESSICAZIONE
- SALATURA
- AFFUMICAZIONE

Gia nel Medioevo esistevano, soprattutto nel Nord Europa, nelle regioni alpine e prealpine in particolar modo, depositi di neve e ghiaccio e le proprietà conservative della refrigerazione erano note da tempo. Si trattava di locali - detti neviere, ghiacciaie, nevaie - ovviamente spesso in pietra e isolati dalle escursioni termiche, con un basso grado di umidità per evitare la formazione di condensa, dove il ghiaccio e la neve venivano accumulati nelle stagioni fredde e da cui si poteva attingere fino a esaurimento scorte.

Sappiamo che nel regime alimentare di tutte le classi sociali fondamentali erano i cereali e la loro conservazione fu sempre un urgente problema di sopravvivenza. Potevano essere immagazzinati sotto forma di chicchi interi o già macinati in farina, ma era necessario evitare, per i chicchi, la germinazione intempestiva, e in ogni caso che la presenza di microorganismi e muffe ne compromettesse la commestibilità: perciò era diffusa la loro essiccazione al sole e all'aria. Sappiamo però che potevano anche essere tostati e utilizzati lungo tutto l'arco dell'anno. Come i cereali anche le castagne avevano larga parte sulle tavole delle classi meno abbienti. Mentre la maggior parte delle piante coltivate è stata importata nell'antichità dall'Oriente (vite e ulivo) e in età moderna dalle Americhe (pomodoro, mais, patate, cacao i più conosciuti), il castagno cresce spontaneo sulle colline e basse montagne, in climi umidi e su terreni non calcarei, del Mediterraneo occidentale. Le castagne erano consumate fresche, previa essiccazione al sole, ma anche affumicate "alla grata".

Le altre specie di frutta nel Medioevo, se non quelle di crescita spontanea, erano cibi rari e comparivano solo sui deschi di lusso, consumati prevalentemente freschi o in preparazioni cotte; tra i frutti erano considerati meno "nobili" quelli di macchia o cespuglio, come le fragole, i mirtilli, le more e più degni quelli di ramo perché più vicini al cielo e quindi a Dio. Nelle città tuttavia esisteva, negli ultimi secoli del Medioevo, un mercato della frutta che non dipendeva solo dalla produzione locale ma anche dalle importazioni a medio raggio.

Gli ortaggi ebbero un maggiore peso nella dieta quotidiana e molto diffusa era la loro conservazione sotto sale; è importante ricordare che i fagioli, che pure ortaggi non sono ma che diventarono una riserva proteica importante per chi non poteva permettersi la carne, arrivarono in Europa solo in Età moderna insieme agli alti prodotti importati dalle Americhe.

L'umidità dei tessuti organici favorisce la proliferazione microbica e batterica, il sale ha un potere disseccante che blocca questo processo proliferativo e, per osmosi, è attirato all'interno dei tessuti che esso impregna. La salatura era applicata a diversi tipi di carne e pesce d'acqua prevalentemente salata. Si consumavano i più svariati tipi di carne: ogni tipo di volatile, addirittura cigni, pavoni, cicogne, al grande ungulato di foresta, infatti vi era molta più carne nelle foreste che nelle stalle della penisola e la caccia era fondamentale nel sistema alimentare, nella gerarchia gastronomica il maiale occupava il gradino più basso tra gli animali, fu a lungo il tipo di carne più consumato dalle classi medie. Anche il maiale era conservato mediante salatura intero - pulito e svuotato delle interiora veniva appeso cosparso di sale ed era denominato mezena - o ridotto in parti salate singolarmente; gli insaccati richiedevano sapienti miscele di carne, sale, pepe, spezie, alcune si sono tramandate fino a noi, e quindi avevano un costo elevato ed erano destinati alle classi alte.

Le genti del Medioevo non furono grandi consumatrici di pesce in genere, a quello di mare, preferivano quello d'acqua dolce anche d'allevamento. Le motivazioni erano semplici: era più facile da catturare, più accessibile, richiedeva mezzi meno costosi per essere pescato e il suo prezzo al consumo era più basso. I numerosi giorni di digiuno imposti dalla Chiesa imponevano la rinuncia alla carne, ma non accennavano all'obbligo di mangiare pesce. Dalle fredde acque dell'Europa Settentrionale però si commerciava in tutta Europa l'aringa, fino a costituire per i paesi costieri un vero e proprio business; già nel XVI secolo le aringhe venivano salate imbarilate direttamente in mare, sulle navi con cui venivano pescate.

USO DELLE SPEZIE

Va immediatamente sfatato il luogo comune per cui si ritiene che le spezie fossero un effetto di copertura per nascondere il degrado dei cibi, carni e pesci soprattutto: l'utilizzo dei più svariati generi di spezie appare direttamente proporzionale al grado sociale. Sono i Signori e i ricchi a farne il maggior uso - dato anche l'elevato costo - cioè proprio coloro che più facilmente potevano avere accesso a materie prime fresche e di buona qualità e non avevano bisogno di nascondere cattivi odori e sapori, non certo le classi meno abbienti la cui dieta era in piccolissima misura composta da grassi animali. La innegabile e persistente diffusione delle spezie in cucina sembra piuttosto dovuta a un fattore di gusto non solo a coprire la carne guasta.

GASTRONOMIA TARDO-MEDIEVALE E DELLA PRIMA ETÀ MODERNA

È possibile individuare tre colonne portanti della gastronomia medievale e della prima età moderna: 1. USO DELLE SPEZIE
2. opposizione MINESTRA/ARROSTO
3. opposizione CUCINA DI GRASSO/CUCINA DI MAGRO
Le spezie fatte arrivare dall'Oriente come il più prezioso dei tesori erano quasi uno status-simbol, erano delle più svariate qualità e trovavano impiego in ogni tipo di piatto, dolce, salato o agrodolce; i "semi del Paradiso" erano una vera e propria droga. Insieme alla carne erano avversate dalla Chiesa che le accusava di accendere La Carne, gli istinti carnali. L'opposizione che abbiamo chiamato MINESTRA/ARROSTO riflette due modi di cottura e anche qui l'arrosto, essenzialmente di pollame e selvaggina, è un simbolo e una prerogativa della nobiltà. Il bollito non si limita a un determinato genere alimentare ma a carni tritate, in questo caso anche di macelleria, verdure, cereali appunto cotte in acqua per lungo tempo (era anche detto potages, da pot, pentola). La preparazione della carne allo spiedo aveva un peso scenografico ed il Signore aveva un servo addetto al taglio e servizio della preparazione: era il Trinciante che si muoveva secondo un cerimoniale studiato e artistico, maneggiava coltelli sempre affilatissimi come armi e non aveva neppure il diritto di mostrare ai commensali la fatica delle operazioni di taglio. L'antinomia cucina di grasso/cucina di magro è spesso un'apparenza per non contravvenire ai dettami della Chiesa, soprattutto in particolari periodi che dovrebbero essere marcati dal digiuno, ma che vengono temperati in una leggera moderazione. Ovviamente le classi povere sono per necessità cultrici della cucina di magro… L'attenzione al colore era anche in cucina un elemento fondamentale, venivano utilizzate sostanze varie dare una particolare tinta ai cibi (uova, erbe, zafferano, curcuma, ecc.): ecco allora il biancomangiare, la salsa verde, brodo rossiccio, brodo bianco di Germania… e altre preparazioni nel cui nome compare un colore. "… e per dorarli o coprirli di verde o di giallo: per il giallo, prendete una gran quantità di turli d'uovo e batteteli bene, con un po' di zafferano, e mettete la doratura in un piatto o in un altro recipiente. Chi vuole una doratura sul verde, triti la verdura e la aggiunga alle uova. E dopo che il pollame sarà cotto, gettateci sopra la doratura e rimettete al fuoco per due o tre volte, affinché la doratura si rapprenda, ma fate attenzione che il fuoco non sia troppo forte da bruciare la doratura…" [Taillevent, ms Vaticano pp. 92-93]

SULLE TAVOLE DEI NOBILI

La cucina dei nobili del XVI secolo è fortemente debitrice delle abitudini e dei gusti dei Medici, per ovvie ragioni di prestigio politico e culturale, tale impronta arriva anche in Francia dal 1533, momento in cui Caterina de' Medici si trova a reggere le soglie dello stato per i figli ancora piccoli. I quadri dei pittori del Rinascimento, Vincenzo Campi, Giuseppe Arcimboldi fra tutti, ci fotografano mense straordinariamente imbandite, studiate scenografie, presentazioni sorprendenti. Da queste testimonianze, dalle liste di approvvigionamento delle case nobili in occasione di feste e banchetti, dalle accurate descrizioni di autori dell'epoca abbiamo l'idea di pantagrueliche abbuffate, composte spesso da un numero tale di portate che era impossibile assaggiarle tutte e restare vivi a fine pasto; lo Scalco era preposto all'organizzazione spettacolare del banchetto,un vero e proprio architetto. Lui, il Trinciante, l'indispensabile e immancabile bottigliere erano al completo servizio del Signore.

Sappiamo che i piatti ad uso personale venivano impiegati solo per i grandi banchetti e la forchetta, più simile a uno spiedo che a quella odierna, era usata più che altro per trasportare le porzioni dal vassoio comune di portata sul tagliere individuale che era una grossa fetta di pane, insieme alle varie salse che erano sempre presenti. Da Bartolomeo Scappi prendiamo un modello di banchetto del 1500 in cui erano quasi sempre presenti "cibi di credenza", preparati con relativo anticipo e che non correvano il rischio di corrompersi, ecco salumi, formaggi, frutta, dolci e torte salate di ogni genere e "cibi di cucina" preparati e cotti al momento: non sempre minestre o potagetti, bolliti, arrosti con spezie e zucchero, agrodolci secondo un gusto tipico dell'epoca, salse aromatizzate, il pasticcio cioè carne o qualsiasi altro cibo avvolto completamente o parzialmente in pasta sfoglia o brisé - questo modo di preparare è rivoluzionario perché consente una cottura più uniforme e prolungata senza disperdere gli aromi e i succhi dei cibi -, carne allo spiedo di più varietà.

Si poteva così gustare un - primo servizio di credenza
- primo servizio di cucina
- secondo servizio di cucina
- terzo servizio di cucina
- secondo servizio di credenza
dopo il quale "…levata la tovaglia e data l'acqua alle mani si muteranno salviette candide…" e si procederà al - terzo (e ultimo) servizio di credenza

Un esempio di presentazione poteva essere un tripudio di animali arrostiti e ripieni dal più grande al più piccolo… un cervo ripieno di un cinghiale ripieno di un capriolo ripieno di un vitello ripieno di un cappone ripieno di una lepre ripiena di un'anatra ripiena di un fagiano ripieno di una pernice ripiena di un tordo ripieno di un piccione ripieno di una quaglia… per consentire al trinciante di sfoggiare tutta la sua arte.

TAVOLI, TOVAGLIE e BANCHETTI

L'uso di arredi mobili, smontabili e ripiegabili si protrae almeno fino al XVIII secolo, anche il tavolo o desco ha questa caratteristica. È composto da cavalletti di sostegno - trespoli, trepiedi o trespodi - su cui venivano allineate dalle assi tenute insieme da alcune traverse fissate nella parte inferiore. I tavoli sono sempre ricoperti da grandi tovaglie, decorate che testimoniano lo status sociale del padrone di casa, non era importante abbellire il tavolo, che restava nascosto dalla tovaglia, tutt'al più alle gambe dei cavalletti si aggiungevano semplici decori.

La fortuna dei tavoli a cavalletto durò a lungo complice la praticità e l'adattabilità al numero dei commensali: potevano essere sistemati in L, a U o in file parallele. Erano perfetti per feste e conviti che si svolgevano all'aperto e che, soprattutto prima del 1400, mettevano in scena davanti agli occhi affamati del popolo il rito del banchetto del Signore. Nelle pause tra una portata e l'altra i commensali erano intrattenuti da intermezzi animati, danze, recite, canzoni, pantomime, spettacoli circensi, spesso si sceglieva un tema, in genere mitologico oppure tratto dalla letteratura cortese a cui ispirare la successione degli intermezzi e delle portate.